LA LEZIONE ALLE ORIGINI DELLA LINGUA ITALIANA Il latino medievale
Medioevo (V-IX), la lingua comunicazione culturale nella penisola italiana è il latino, una
II millennio a.C. Il latino si era imposto, nei
della città di Roma (metà VIII secolo a.C.), grazie alle
romano, in molte regioni europee. Nel tempo, aveva raggiunto una sua identità linguistica molto precisa, lasciando tuttavia affiorare, nelle diverse parlate locali,
alcuni elementi del sostrato (le lingue preesistenti all’arrivo del latino), che talvolta sono percepibili ancora oggi nei dialetti o nelle parlate regionali italiane, per esempio
Il latino mantenne il suo primato culturale – diffuso attraverso la chiesa, il mondo della cultura e, nell’ultimo periodo, le università – fino al IX-X secolo, periodo in cui,
in Europa, cominciano le testimonianze scritte dell’uso dei volgari romanzi, le lingue derivate dal latino in diverse regioni europee. Si dà il nome di Romània all’insieme
delle regioni europee in cui si diffondono le lingue derivate dal latino: si tratta di
penisola iberica, Francia, parte degli attuali Belgio e Lussemburgo, penisola italiana, Romania.
L’esempio più evidente di questo mutamento nell’uso è rappresentato dalle “istruzioni” date ai chierici dal Concilio di Tours (813), che impone la predicazione in “lingua romana rustica”, cioè nei volgari locali; ciò, naturalmente, evidenzia la necessità
della scelta del volgare per la comprensione della parola di Dio. Tali testimonianze sono di fondamentale importanza per capire quando e dove il latino abbia cominciato
a cedere il passo della comunicazione ai cosiddetti volgari (dal latino vulgus=popolo; il linguaggio parlato dal popolo, cioè dai non colti; mentre i colti, soprattutto i chierici,
I primi documenti nelle lingue romanze
Nell’814 avvenne il Giuramento di Strasburgo; si tratta di una reciproca promessa
di alleanza strategica tra Carlo il Calvo e Ludovico il Germanico. Il testo è riportato dallo storico francese della prima metà del IX secolo Nitardo, nipote di Carlomagno,
nella lingua in cui venne effettivamente pronunciato, all’interno di un’opera storica scritta, ovviamente, in latino. Ludovico giurò in volgare romanzo francese, Carlo in volgare germanico; ciò per facilitare la comprensione dei soldati, che non avrebbero
È opportuno specificare che le prime testimonianze scritte del volgare italiano sono ben diverse dalle testimonianze letterarie: il volgare all’inizio non è sentito come una
lingua degna della letteratura e i letterati impiegheranno qualche secolo per concedere al volgare la dignità necessaria affinché sia usato come lingua dell’espressione
Il sermo vulgaris è rimasto dunque a lungo confinato all’oralità. Ciò rende rari, e pertanto particolarmente preziosi, i documenti scritti che rappresentano le prime
testimonianze del suo uso. L’indovinello veronese
Il primo esempio di uso consapevole di una lingua diversa dal latino in un testo scritto è L’indovinello veronese; l’autore, un ignoto copista veneto della fine dell’VIII secolo,
scrive, a margine del testo che sta copiando, questo indovinello, di cui si riportano qui
di seguito testo e interpretazione:
Se pareba boves Alba pratalia araba Et albo versorio teneba Et negro semen seminaba Gratias tibi agimus omnipotens sempiterne deus
Teneva davanti a sé i buoi, arava prati bianchi
Teneva un aratro bianco e seminava un seme nero
Rendiamo grazie a te, Dio onnipotente eterno
L’ultima riga, in corsivo, è ancora in latino; si tratta di una formula di ringraziamento a Dio; il testo del vero e proprio indovinello, quindi, è rappresentato dai primi due versi.
Ciò appare significativo: il copista, infatti, torna immediatamente a scegliere il latino nel momento in cui l’argomento si fa ‘ufficiale’ (il ringraziamento a Dio, appunto),
confinando l’uso del volgare a un momento giocoso, leggero. Può darsi che
nell’atto di scrivere il copista abbia ideato questo paragone tra la scrittura e la semina e abbia voluto appuntarla a margine per non dimenticarla. O potrebbe trattarsi di un
momento di pausa, di attesa, in cui alleggerire il lavoro della copiatura con un giochino linguistico… Dal punto di vista linguistico, vanno già decisamente in direzione
del volgare sia la caduta delle consonanti finali delle terze persone dei verbi sia
l’uso dell’accusativo dell’aggettivo negro (a rigore, nigrum). Il Placito di Capua
Di ben altro tenore il Placito di Capua (960), secondo documento in volgare, che contiene la decisione del giudice di Capua, Arechisi, chiamato a risolvere la questione
del possesso di terre, rivendicate sia dagli abati del Monastero di Montecassino sia da un certo Rodelgrimo. Il documento è quasi interamente in latino, ricco di formule
giuridiche tipiche del linguaggio legale. La parte che riporta la testimonianza orale a
favore degli abati, tuttavia, è trascritta dal giudice in volgare, quasi a voler sottolineare la necessità della comprensione da parte di tutti di quell’importante Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene trenta anni le possette parte Sancti Benedicti
le possedette per trenta anni la parte di San Benedetto.
Il testimone dichiara che per almeno trenta anni le terre contese sono state in realtà
del Monastero di Montecassino; il che le rende di diritto di proprietà degli abati. Dal
punto di vista linguistico, sono evidenti gli elementi già decisamente volgari: l’uso della consonante k, l’uso di trenta (in latino, triginta), l’uso del pronome “le” (in
latino illas). La Postilla amiatina
Testo redatto dal notaio Rainerio nel 1087 (ricordiamo che i notai sono tra le categorie di più ampia cultura in questi secoli) è la Postilla amiatina. In questo caso, l’autore
effettua un intervento più forte nella direzione della latinizzazione: forse conosce il volgare meno bene del suo collega di Capua precedentemente citato. Il documento
definisce una donazione terriera a favore di un monastero, fatta da tale Micciarello,
soprannominato “capoduro” (caput coctu).
Ista cartula est de caput coctu Ille adiuvet de illu rebottu Qui mal consiliu li mise in corpu
Che gli mise in corpo un cattivo consiglio
La postilla (aggiunta in un momento successivo) indica l’auspicio che la donazione fatta da Micciarello abbia la funzione di liberarlo dalla presenza del maligno, che in
passato gli ha ispirato comportamenti negativi. Dal punto di vista linguistico, si tratta di un testo curato, scritto in una sorta di struttura metrica non chiara, ma in rima. Il
maggiore scarto rispetto al latino tradizionale è rappresentato dall’uso di “illu”, da cui deriva l’articolo “il” in tutte le lingue romanze.
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