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Prozac under 18

L'Espresso
11/02/2005
Agnese Codignola

Dopo cinque anni di polemiche e ricerche è ammesso in Italia il discusso farmaco Ritalin
indicato per bimbi iperattivi. Ma solo in pochi centri specializzati colloquio con Maurizio Bonati

Alla fine di un iter durato cinque anni, e di una storia iniziata almeno trent'anni fa, il metilfendato, il
Ritalin, sarà presto reintrodotto anche in Italia (dove è stato ritirato nel 1989) per la cura dei
bambini affetti dal disturbo da iperattività e deficit dell'attenzione, Adhd (Attention deficit-
hyperactivity disorder). Non si tratta semplicemente dell'arrivo di una molecola che non c'era e che
ogni volta la si nomini genera discussioni e polemiche, ma di un punto di svolta in una questione
molto delicata: trovare il modo di consentire l'uso di un farmaco complesso a chi ne ha bisogno
evitando, in ogni modo, leggerezze e abusi ancora più odiosi perché si tratta di un prodotto destinato
ai bambini.
Ad alimentare le polemiche, in primo luogo la stessa definizione, eterogenea e sfuggente,
dell'Adhd: una condizione multifattoriale che non ha ancora oggi un'origine chiara e che, nelle
accezioni più ampie, può confondersi fino a comprendere sintomi da molti ritenuti semplici
manifestazioni di vivacità dei bambini. Poi le caratteristiche del farmaco, del quale solo due anni fa
si è potuto spiegare il meccanismo d'azione: fino ad allora non si capiva come mai un'amfetamina,
una sostanza stimolante, riusciva a sedare i bambini. E che, nonostante sia ritenuta tra le più sicure
della categoria, ha diversi effetti collaterali importanti. Insomma, un farmaco da non prendere
sottogamba come invece è accaduto, con molti eccessi, negli Usa con prescrizioni autorizzate già
nel primo anno di vita e un ricorso irrazionale al farmaco per affrontare situazioni che avrebbero
richiesto in primo luogo una terapia psicologica e sociale.
Come hanno risolto l'intricato puzzle i tecnici del Comitato insediato presso l'Istituto
Superiore di Sanità e incaricato di dire l'ultima parola: il Ritalin deve o non essere ammesso
alla vendita in Italia?
Il Comitato ha risposto sì. Ma con mille accorgimenti e cautele. Abbiamo chiesto a Maurizio
Bonati, direttore del Laboratorio di salute materno- infantile del Mario Negri di Milano, e presidente
della Commissione che ha stilato il documento, di spiegarcele.
Dottor Bonati, ammettete il Ritalin. Ma con quali cautele?
"Vogliamo evitare abusi e usi scorretti. Per questo abbiamo cercato di porre tutte le condizioni
affinché l'uso del Ritalin sia limitato ai casi di reale necessità. In generale, sono stati definiti nei
particolari i percorsi che portano alla diagnosi e all'indicazione della terapia, sono state individuate
le figure professionali e le strutture territoriali coinvolte e sono stati previsti diversi meccanismi di
controllo. Purtroppo, infatti, ancora oggi accade che siano i pediatri a fare le diagnosi e a consigliare
una terapia, in una confusione di ruoli e di competenze le cui vittime sono i bambini e le famiglie".
La diagnosi sembra il momento più controverso e alcuni dubitano anche che l'Adhd esista.
Quanti sono i bambini con Adhd in Italia?
"Non è possibile formulare cifre esatte, soprattutto perché non c'è ancora accordo più che sulla
diagnosi stessa, sulla gravità dei sintomi. E quindi su quali siano i casi che realmente necessitano di
un intervento farmacologico. I criteri diagnostici più utilizzati sono due: quello dell'American
Medical Association, e quello dell'Organizzazione mondiale della sanità, assai più restrittivo
rispetto al primo. Secondo alcuni studi, nella fascia di età compresa tra i 6 e i 16 anni in Italia ci
sarebbero all'incirca 60 mila malati, ma va detto che l'incidenza in questa popolazione varia, a
seconda delle stime, dall'1 al 24 per cento, anche perché le prime segnalazioni sono fatte dagli
insegnanti, raramente preparati in modo specifico e che riferiscono comportamenti spesso molto
diversi da quelli che il bambino mette in atto a casa. Va sottolineato, inoltre, che non tutti coloro
che hanno una diagnosi di Adhd devono essere trattati farmacologicamente".
In questo ginepraio di difficoltà come volete che si muovano famiglie e medici?
"Innanzitutto c'è da definire la diagnosi. La difficoltà deriva dal fatto che la si deve basare
interamente sulla valutazione dei sintomi comportamentali giacché non la si può supportare con
misurazioni biologiche. È necessario quindi passare attraverso diverse valutazioni: un controllo
medico e neurologico, un esame psichico e una valutazione delle capacità cognitive e di
apprendimento. Così come si deve arrivare a una serie di colloqui con gli insegnanti e con i genitori
e, se è il caso, con altri adulti con i quali il bambino abbia rapporti stabili e duraturi. Tutto ciò può
essere fatto soltanto in centri regionali specializzati e rigorosamente pubblici, all'interno dei quali
operano neuropsichiatri specializzati in queste patologie. Solo in queste sedi può essere autorizzata
la terapia farmacologica".
Anche così potrebbero verificarsi abusi.
"E per questo sono stati previsti due livelli di controllo. Ogni bambino sarà controllato a ritmo
serrato nei primi sei mesi, e tutto il programma sarà valutato a due anni dall'inizio, con verifiche
sugli effetti collaterali e sull'esito della terapia. In secondo luogo il Ministero ha dato mandato
all'Istituto superiore di sanità di istituire un Registro specifico, nel quale dovranno rientrare tutte le
prescrizioni. Tutto ciò dovrebbe migliorare la conoscenza del problema da parte dei pediatri di base
e degli operatori territoriali".
Non c'è il pericolo che quanto è stato stabilito, almeno in alcune realtà, sia irrealizzabile a
causa delle carenze delle strutture territoriali?
"Questo pericolo c'è sempre, ma le Regioni hanno l'obbligo di segnalare i centri, e se non ne hanno
devono istituirli. A oggi la realtà è variegata: ci sono Regioni come la Lombardia, che ne hanno già
individuati otto, e altre che ne hanno uno solo o nessuno. Speriamo in un effetto a cascata e in ogni
caso ci sembra di aver posto buone premesse per limitare al massimo un utilizzo inappropriato di un
farmaco che deve essere solo una parte di una terapia multidisciplinare, che può anche non
contemplarlo affatto".

Source: http://www.aifa.it/documenti/rassegna_stampa/RS-11-02-05-espresso-codignola.pdf

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