La rivolta del contadini di san salvatore monferrato - 14-25 ottobre 1898
La rivolta del contadini scoppiata nel comune di San
Salvatore Monferrato, in provincia di Alessandria, nei giorni 24 e 25 ottobre 1898 si concluse in un bagno di sangue nel conflitto con i carabinieri inviati dal prefetto a protezione delle squadre antifil-
losseriche incaricate di eseguire l’esplorazione dei vigneti della zona, per accertare se questi fossero stati colpiti dalla fillossera. Nel conflitto perdevano la vita sei contadini, una
quarantina furono feriti e una cinquantina arrestati, rinviati a giudizio e quasi tutti condannati dal tribunale. La rivolta non ebbe carattere politico o contrattuale da parte di questi lavoratori della terra, essendo essi
quasi tutti proprietari di quei vigneti su cui le autorità avevano richiesto venisse fatta la verifica fillosserica. Questi fatti gravissimi forse si sarebbero potuti
evitare se, da parte di tutti, contadini e autorità di pubblica sicurezza, si fosse agito con maggiore prudenza nel valutare la situazione, prima di arrivare all’irreparabile. Il sacerdote Don Picotti, rettore della parrocchia di San Siro, ad un giornalista che svolse le indagini sui fatti accaduti, ebbe a dichiarare che i contadini si rifiutarono di credere si trattasse di una ispezione
Inoltre correvano voci che in Valmadonna (sobborgo di Alessandria) non erano stati pagati gli indennizzi. Sarebbe stato quindi prudente preparare gli animi. Secondo un altro sacerdote, Don Provera, la dimostrazione era nata spontanea come una ragazzata e nessuno avrebbe potuto prevedere le funeste conseguenze che purtroppo si verificarono. Secondo diverse testimonianze furono i carabinieri per primi a lanciarsi sulla folla, sparando colpi mortali e ferendo tra i primi il colonnello Carmagnola, mentre gridava: “Figliuoli, fermi!” e
calmava i più scalmanati. Ferito fu raccolto da Davide Davite detto “Gnolo” e da un altro cittadino. Il diagramma rappresentante la piazza Vittorio Emanuele e le vie adiacenti, mostra evidenti i segni
lasciati dai terribili proiettili e i punti dove furono raccolti i morti e i feriti. Appare indiscutibile che la forza pubblica inseguì i fuggiaschi terrorizzati ai primi colpi. Anzi uno dei feriti gravi, Mossi Luigi, avrebbe deposto che mentre
riparavasi sotto i portici del teatro vecchio, un carabiniere gli tirò a bruciapelo un colpo di rivoltella dicendo: “Toh, ne ho ancora una per te”. Un figlio di Giovanni Cabria, uno degli uccisi (dicesi
in paese dal capo guardia Bielli col quale pare vi fosse antica ruggine) testimoniò che il capo guardia ebbe minacciose parole di protesta contro l’impu-tazione fattagli, aggiungendo che “avrebbe preso a
colpi di rivoltella il primo che l’avesse ripetuta”.
Pare anche che in ospedale, a detta dei cronisti non tutti i feriti ricevessero il debito trattamento, ed alcuni vi morissero. Per meglio spiegare le ragioni dell’ira paesana contro il sindaco e i suoi, gioverà ricordare il fatto, ricon-fermato dal consigliere Amisano Luigi, che mentre in Alessandria, dal prefetto, s’era convenuto di
sospendere per quell’anno, l’ispezione fillosserica in territorio di San Salvatore, l’assessore Prato, il 21 ottobre, antivigilia dei tumulti, andava espres-samente in Alessandria a chiedere “fosse pure per
un giorno”, la venuta delle squadre d’esplorazione,
poiché altrimenti il prestigio dell’autorità sarebbe stato compromesso irrimediabilmente. Il deputato del collegio di Valenza, conte Ceriana-
Meyneri, inviò un’interpellanza alla Presidenza della Camera sui luttuosi fatti di San Salvatore Monferrato. In precedenza, come appare anche da una corrispondenza della “Gazzetta del Popolo”, egli aveva avvisato l’autorità superiore degli umori del
paese, rifiutandosi persino di assistere all’ispezione delle squadre fillosseriche, da lui creduta, per la stagione avanzata e per la mancata preparazione della popolazione, intempestiva e gravida di pericoli,
come purtroppo si mostrò nei fatti. Il dott. Giusto Calvi di Valenza, il 12 novembre 1898 così scriveva sull’ “Idea Nuova”: “Nella ricerca delle
responsabilità immediate, i veri sobillatori, lo dico
con tutto il rispetto dovuto da un cittadino alla
magistratura del proprio paese, non credo siano
quelli sui quali s’è posto la mano, sia questo o
quell’individuo: la sobillazione, qui come in tutti o
quasi gli altri fatti, non s’individualizza in persone,
ma emana da uno stato di cose, da un’infezione
generale dell’ambiente e non è nel colpire l’individuo,
ma nel riparare alla malaria sociale, che va cercato il
rimedio. È doloroso dopo cinquant’anni dallo Statuto e dopo
oltre quindici dalla riforma elettorale e dall’istruzione
obbligatoria, che in una città come San Salvatore
sievi ancora gente che ricorre ai sassi e alle violenze
anonime della piazza contro i suoi amministratori
anziché all’arma civile del voto, che colpisce e
guarisce il male, come la lancia dell’eroe omerico. E la sobillazione massima e vera, la colpa sociale, è
questa d’avere le classi dominanti costantemente
disabituato le classi lavoratrici dal tranquillo
esercizio dei loro diritti, di averle illuse e deluse e
corrotte diuturnamente e in ultimo, di aver legato
le mani all’unico partito, il partito socialista, che
contro tutti i romanticismi pseudo rivoluzionari,
contro tutte le insidie e le violenze, si è assunto
l’opera laboriosa, dell’educazione politica delle
masse, stornando gli odi delle persone e, come il
vaccino scampa dal vaiolo, rendendo benigno il
male sociale coll’indirizzare l’esausta pazienza
popolare alle rivendicazioni legali mediante la
scheda e l’organizzazione”. Tra gli arrestati vi furono anche quattro contadini di
Frescondino, mentre parecchi si diedero alla latitanza e tra questi, Roncati Carlo, contadino che durante la colluttazione al Clorio, avrebbe strappato
un fucile ad un soldato e certo Gargnano, che avrebbe eccitato alla violenza. Gli arrestati di San Salvatore furono tradotti alle
carceri di Alessandria. Tra i giorni di lunedì e martedì furono interrogati e rilasciati immediatamente molti altri contadini, una ventina di persone. Ma l’arresto che fece maggior impressione, fu quello
del notaio cav. Giovanni Tizzani, uno dei più ricchi del paese, conservatore accanito, già conciliatore, vice pretore, da tempo immemorabile consigliere del Comune, tradotto in Alessandria coi ferri ai polsi.
L’accusa che pare gli venisse mossa era di eccitamento alla rivolta, basata sul fatto che egli avrebbe detto ad un suo castaldo di non lasciare entrare nella propria vigna gl’ispettori fillosserici,
senza prima avvertirlo e di aver espresso i suoi dubbi sulla opportunità della venuta dei medesimi. Alla funesta lista delle vittime se ne aggiunse una sesta, Guazzone Francesco morto il 3 corrente e Piatoni Carlo, morto dopo che gli era stata amputata
una gamba. La stessa “Lega” di Alessandria dell’8 dicembre così scriveva, riferendosi ai carabinieri: “Notoriamente si
sa che l’opera loro non avrebbe dovuto spingersi
tant’oltre e così insanamente, da seminare la strage
ed il lutto in mezzo a tranquille e laboriose
popolazioni che non seppero mai di violenza, di
intolleranza, di ribellione, tanto innato è in loro il
sentimento di devozione al Re, alla patria ed alle
Il processo che si svolse nel mese di dicembre dello stesso anno si concluse con la condanna di quasi tutti gli arrestati. Contro le pene abbastanza rilevanti chieste dal procuratore del Re, avv. cav. Morelli, apre la difesa il giovane avvocato Nebiolo, alessandrino, esordiente, in modo da meritarsi le approvazioni dei colleghi.
Segue l’avv. Buzzi Langhi, che rimanda la sua arringa alla udienza pomeridiana. Gli altri difensori si succedono, con quest’ordine: Brezzi, Pugliese Manazza, Jachino, Poggio e Battaglieri. Dopo quasi
sei ore di seduta in camera di consiglio il tribunale alle 8,30 pomeridiane dà lettura della sentenza: Condanna: Mossi Giuseppe, Panelli Pietro, Astori Giuseppe, Roncati Carlo, Roncati Enrico, Astori
Davide, Roncati Tommaso, Torra Melchiorre, Astori Camillo, Camurati Lorenzo, Roncati Giuseppe, Amisano Lorenzo, Roncati Pietro, Astori Lorenzo, Astori Luigi a due mesi e 15 giorni di reclusione. Condanna: Ferraris Umberto, Cavalli Alessandro,
Anslisio Carlo, Rossi Pietro, Tizzani cav. Giovanni e Panelli Giovanni a un mese e sette giorni di reclusione. Condanna: Rossi Ottavio a due mesi e due giorni di
reclusione. Condanna: Mottino Giovanni, Milani Enrico a un mese e 20 giorni di reclusione e L. 83 di multa.
Condanna: Camurati Giovanni, Provera Francesco e Tizzani Marcello a 20 giorni di reclusione e L. 41 di multa. Condanna: Amisano Luigi, Buzio Luigi e Cresta Giovanni a 25 giorni di reclusione. Assolve: Rossi Lorenzo, Bensi Alessandro, Panelli Paola, Bensi Carolina, Bausone Silvia, Nebbia
Giuseppe, Prati Attilio e Roncati Vittorio. Computato il carcere sofferto, vengono rimessi in libertà tutti quanti i condannati, eccezione fatta per Mossi Giuseppe, Astori Giuseppe, Milani Enrico,
Roncati Carlo, Tizzani Marcello, Amisano Lorenzo, Roncati Pietro. Dopo la conclusione del processo, sindaco e giunta, sentendo insostenibili le loro posizioni, dovettero
rassegnare le dimissioni e nella loro caduta, vollero coinvolgere anche tutti i consiglieri. E così diedero le dimissioni il sindaco Bobba, gli assessori Prato, Prevignano, Leonardo, Deambrosis Pio e i consiglieri avv. Tarchetti e Roncati Emilio. Gli altri si rifiutarono. Sui tragici, fatti connessi agli avvenimenti del 25 ottobre sono da ricordare i telegrammi che intercorsero in quei giorni di vigilia tra il sindaco di San Salvatore e il prefetto di Alessandria comm.
Arata. Ecco il telegramma del prefetto del 10 ottobre, ore 15 al Sindaco:
“Viene riferito che codesti proprietari si oppongono
esplorazioni. Dispongo per riguardi interessi privati
che esplorazioni comincino e proseguano di preferenza
Maggiori concessioni non posso fare. Voglia S.V.
persuadere proprietari delle gravi conseguenze cui si
esporrebbero continuando opposizione. Spero che
ragione prevarrà nell’animo codesti proprietari.
Intanto mi telegrafi le loro disposizioni anche per
regolarmi se ed in qual modo debbo io inviare forza”. Risposta del sindaco Bobba, 2 ottobre:
“Dopo ricevimento telegramma V.S. presentossi
prof. Berti con lettera regio commissario Camboni.
D’accordo presenti alcuni proprietari, due delegati
squadra Valmadonna, sospendere domani esplo-
razioni onde preparare proprietari opponenti con
mio manifesto assicurandoli interesse di tutti
constatare nostro territorio immune fillossera.
Se sindaco avvertito prima lamentati inconvenienti
ed opposizioni non sarebbero forse avvenuti perche
preparati visite filloseriche”. Altro del sindaco, il giorno dopo, 12 ottobre:
“Pubblicato manifesti, tenuto conferenza pubblica
per tranquillizzare e assicurare popolazione.
Persiste tuttavia la opposizione a qualsiasi operazione
esplorativa in questo territorio per parte di numerosi
contadini proprietari, male preparati e soverchiamente
allarmati. Tanto a scanso di responsabilità e a lei
Terzo telegramma del sindaco il 13 ottobre ore 22,40:
“Giunta radunata d’urgenza unitamente influenti
cittadini prima potersi fare utilmente tentativi presso
proprietari riottosi purché esplorazioni procedano
Prego rimandare lunedì operazioni disposte sabato,
potendo giorno festivo conferire coi medesimi.
Fo pure presente che per recenti piogge visita sabato
recando danno proprietà indisporrebbe maggior-
mente interessati”. Con sua d’ufficio 15 ottobre, il prefetto insiste nell’esplorazione e prega il sindaco di rimuovere ostilità e il giorno dopo, ore 2 telegrafa:
“Prego telegrafarmi: prima sulle misure preventive
da prendere per domani”. Il sindaco risponde alle 12 dello stesso giorno:
“Conferito proprietari Clorio interessati.
Quantunque molti persuasi, persiste tuttavia forte
opposizione spalleggiata maggioranza contadini di
questo territorio che fanno causa comune coi
dissidenti Clorio. In tale ambiente non posso
garantire mantenimento ordine”. Due ore dopo, il prefetto ribatteva con questo
“Sono spiacente per mancata riuscita suoi uffici.
Ora non mi restano che doveri da compiere e li
compirò. Voglia avvertire principali oppositori che
domani cominceranno esplorazioni con intervento
forza pubblica e ordine denunciare oppositori
autorità giudiziaria et arrestarli ove occorra”.
Passano intanto cinque giorni e il 21 ottobre il prefetto manda una lettera d’ufficio (n°16854) con la quale dichiara che farà l’esplorazione malgrado ogni
opposizione domandando se il sindaco può disporre di sei uomini che si uniscano agli incaricati dell’esplorazione. E conclude: “Spero, che il tempo e la riflessione
avranno influito sugli animi fin qui manifestati dai
proprietari dei terreni da esplorare: imperocché
vogliano o non vogliano, le esplorazioni si faranno
coll’intervento della pubblica forza ed essi non
avranno che accagionare se medesimi delle gravi
conseguenze alle quali potranno andare incontro”. Il sindaco risponde immediatamente:
“Non potendo assicurare buoni propositi proprietari,
non posso disporre sei uomini”. L’ultima lettera del prefetto (n°16854) dispone per il 24 le esplorazioni e soggiunge:
“È a mia conoscenza che alcuni proprietari o
ingannati o sobillati temendo che l’esplorazioni
arrechino ad essi un danno, manifestarono il
proposito di opporsi. Io ho fede nel buon senso di
codesti proprietari: comunque ho disposto che un
delegato di P.S. e numerosi carabinieri assistano i
delegati fillosserici ed ho dato ordine che sia rimessa
ogni eventuale opposizione, anche con arresti degli
Dopo le dimostrazioni e le colluttazioni al Clorio con i risultati tragici descritti, (diversi cittadini persero la vita) il prefetto, soddisfatto, telegrafa al sindaco
(25 ottobre, ore 14): “Avverto aver disposto che per questo anno
esplorazioni cessino con quella fatta oggi”. Secondo il deputato Ceriana di Valenza, sembrano
inspiegabili le ostilità contro il sindaco cav. Bobba, che aveva ripetutamente avvisato l’autorità supe-riore degli umori della cittadinanza, della sfiducia popolare nelle persone che dirigevano dette operazioni
ed aveva fatto quanto era in lui perché si rinviassero le ispezioni antifillosseriche.
A conclusione dei dolorosi fatti accaduti, ecco alcuni
brevi cenni sulla malattia, che tanto danno ha portato alle nostre rigogliose viti. L’insetto emittero, che arreca gravissimi danni alla vite distruggendone le radici e dissecando le foglie,
si chiama “fillossera”. L’insetto è dotato di gorgogliosi piccolissimi, di colore giallo che, attaccandosi alle tenere punte delle radici della vite e moltiplicandosi, producono nodi e rigonfiamenti; la vite intristisce e prima si seccano le foglie, poi muore.
Dall’uovo deposto in inverno sotto la corteccia dei rami più vecchi, esce una femmina aptera, che si riproduce partogeneticamente tanto da produrre
sino a 80 uova in un anno. Nell’estate compaiono individui alati, ninfe, che depongono le uova sulla faccia inferiore delle foglie da cui escono maschi e
femmine senza ali e senza rostro. Dalla femmina proviene l’uovo d’inverno, da cui nasce il pidocchio devastatore. La malattia fu scoperta in Italia la prima volta nel 1879 a
Valmadrera, Lecco. I rimedi a cui si ricorre sono, oltre alla disinfestazione del terreno, la cura volta ad impedire l’esportazione di viti da campi infetti e la pratica di disinfettare gli stessi contadini che
provengono da vigneti fillosserati, la distruzione della vigna con la sostituzione di viti americane, le quali resistono assai meglio delle europee. In Italia il 12 febbraio 1888 venne accettata la convenzione,
sottoscritta a Berna il 3 novembre 1881, che fissava i provvedimenti da prendere contro la fillossera. La convenzione fu stipulata dopo che i congressi internazionali consigliarono i necessari provvedimenti accettati dagli Stati. Rimedio efficace contro la
fillossera è lo zolfo dato sulle foglie. La prima scoperta di questo insetto venne fatta in America nel 1854; dopo a Londra e quindi in Francia dove la malattia prima del tutto ignota, cominciò ad
infierire nei vigneti delle rive del Rodano. (Estratto da:
“Il movimento operaio e socialista in provincia di
Alessandria” di Libero Ferraris, Alessandria - 1976)
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